1.
Gli inizi del Novecento pittorico sono segnati da un grandioso
tentativo di liberarsi dei residui naturalistici dell’Impressionismo.
Il primo importante movimento del secolo, l’Espressionismo
- in parte preceduto dal Futurismo italiano - non tenta più di
trasferire sulla tela i ‘dati immediati’ della coscienza
o quelli o presunti puri della singola percezione visiva, ma
il proprio impulso interpretativo della realtà, raccogliendo
nel gesto pittorico sia la visione che l’emozione. L’espressionismo
- in Francia con i Fauves, in Germania con Die Brücke -
rappresenta da questo punto di vista la più coerente radicalizzazione
della ricerca pittorica di Van Gogh (più che di quella
di Gaugain o dei Simbolisti).
Per i Fauves
(con Matisse e Braque) è infatti direttamente il colore che
si fa centro dell’immagine: distribuito con pennellate nodose,
evidenti, corpose - quasi cézanniane - esso determina la composizione
e «costruisce» in senso vero e proprio il dipinto. |

Degas - La Ballerina
|
Viene
pertanto progressivamente contestata qualunque modalità di
rappresentazione illusoria della profondità e dunque rifiutata
la pittura tonale tradizionale a favore di un ritorno all’arte
primitiva, ritenuta più istintiva
e vitale. Nei dipinti dei Fauves all’assenza assoluta di gradazioni
di colore e sfumature, allo svanimento dei più tradizionali effetti
di chiaroscuro e di volume risponde un uso continuo di tinte fortemente
contrastanti. La prevalenza dei colori puri acquista anche un significato
quasi allegorico
nel sottolineare la condizione interiore di totale disponibilità a
reinventare nuovi modelli di immagine.
Il gruppo espressionista tedesco Die Brücke seguì invece sin dall’inizio
un preciso programma di autodefinizione rivoluzionaria. Come i Fauves, anche
gli artisti di Die Brücke traggono ispirazione dall’arte primitiva
o dal recupero di tecniche e materiali legati alla tradizione popolare tedesca
- come ad esempio la xilografia – riattualizzate in funzione di critica
sociale.
I
soggetti prediletti dagli Espressionisti tedeschi sono infatti
polemicamente tratti dalla realtà quotidiana della classi
sociali più emarginate. I colori corposi e densi appaiono
incrostati sulla tela come se la materia desiderasse comunicare
il riflesso sgradevole delle umane miserie. L’immagine
stessa, nella pittura espressionista, tende a farsi forma di
denuncia. Se
nel 1913 il gruppo va incontro allo scioglimento ed i singoli esponenti
continuano
ad operare in modo autonomo, nel periodo precedente la seconda guerra
mondiale e l’avvento del nazismo, il movimento riacquista vigore
grazie a figure come Otto Dix e George Grosz, nelle cui opere si
esprime - con una certa esasperazione espressiva e culto del grottesco
- una illuminante protesta contro una società prossima allo
sfacelo: il regime nazista non a caso li definì «degenerati» costringendoli
ad emigrare negli Stati Uniti. |

Otto-dix 1949
|
2.
Nel momento in cui il Fauvismo volge al termine, prende
avvio ancora in Francia
il Cubismo, tra i più importanti movimenti del secolo:
esso contribuirà all’evoluzione del gusto moderno,
proponendo forme lineari, semplificate, fortemente geometrizzate.
La definizione di «cubismo» deriva da un’espressione
del pittore Matisse, che aveva definito «simili a cubi» le
immagini di un quadro di Braque, il fondatore del movimento assieme
a Picasso. Il
periodo più intenso della ricerca pittorica cubista va dal
1908 all’inizio della prima guerra mondiale. Recuperando
alcuni temi di ricerca dei Fauves, come ad esempio l’abolizione
della profondità illusoria, i cubisti studiano e scompongono
la realtà esteriore, la frantumano per poi ricomporla
sulla tela secondo un nuovo ordine percettivo, che cancella
la distinzione
tradizionale tra oggetti e spazio.
|

George Grosz
|
Cose
e figure umane vengono rappresentate secondo diversi piani prospettici,
secondo diverse e spesso autocontraddittorie
angolazioni. Non solo: le immagini vengono sovrapposte come se
nella fusione di vedute successive si tentasse di comunicare la totalità stessa
delle percezioni possibili che si otterrebbero ruotando attorno alla
materia pittorica. Un tale processo di scomposizione in piani e di
ricomposizione successiva, da un lato ‘decostruisce’ la
forma in modo tale da rendere difficile, a volte, l’individuazione
del soggetto, e sfiorando a tratti l’astrazione pura. Ma dall’altro
stimola lo sviluppo di nuove tecniche polimateriche che attraverso
il colore addensato – persino frammisto ad elementi organici,
come per esempio la sabbia - e l’uso del collage (carta, legno,
stoffa) comunica all’osservatore sensazioni tattili e visive
che lo riportano alla realtà fisica. Da un lato si assiste quindi
ad una scomposizione della realtà, rappresentata in forme schematico-geometriche;
dall’altro si perfeziona l’uso di tecniche che riconducono
materialmente alla percezione della realtà. Il corpo fisico
che costituisce un oggetto non viene pertanto solo «rappresentato»,
ma più spesso incorporato, incollato così com’è sulla
tela, al punto che in certe composizioni polimateriche il confine
stesso tra pittura e scultura sembra progressivamente perdere
senso.
La questione del rapporto con la realtà esterna è però determinante
anche per l’origine del movimento tedesco Der Blaue Reiter (Il Cavaliere
Azzurro) fondato nel 1911 da Vasilij Kandinskij. L’immagine viene
qui intesa come una forma di espressione non bisognosa di rappresentare
la natura,
gli oggetti o le figure umane: idee, sensazioni ed emozioni sono infatti
un effetto diretto dei colori, dei punti, delle superfici, delle linee
e delle
luci del tutto indipendentemente dal loro significato referenziale.

Picasso - Daily Center Chicago
|
La
ricerca di Kandinskij esplora proprio questa espressività di
base, per così dire, degli elementi fondamentali del linguaggio
visuale: le sue opere grafiche e cromatiche si presentano sostanzialmente
come degli ‘studi’ apparentemente ispirati allo ‘scarabocchio’ del
bambino, quasi l’artista si volgesse al recupero di uno
stato primevo e originario, immune da qualunque influsso della
tradizione o della cultura. Affine
a quella di Kandinskij è poi anche la posizione dello
svizzero Paul Klee: nei suoi quadri l’immagine tende
a farsi rappresentazione del proprio mondo interiore: da
un’arte intesa come elaborazione autonoma della mente umana
deriva una ossessiva composizione dell’immagine nella quale
linee, luci e colori raggiungono un livello altissimo di autosufficienza,
svelandosi nella loro natura radicalmente anti-iconica, anti-simbolica. |
3.
Il Neoplasticismo, detto anche «De Stijl», si afferma
in Olanda nel 1917. I suoi esponenti più significativi, Théo
Van Doesburg (architetto) e Piet Mondrian (pittore) fondano la rivista «De
Stijl» e, attraverso una serie cospicua di manifesti e dibattiti,
affrontano il tema della «costruzione dell’opera d’arte».
Tanto in architettura quanto in pittura, la loro ricerca implica il
partire da forme geometriche semplicissime. Nasce così da un
lato un’architettura basata su elementi prefabbricati, rispondente
ad esigenze di economia e praticità, con ambienti distribuiti
razionalmente e ‘belli’ anzitutto perché funzionali
all’uso; dall’altro una pittura intesa come rigorosissima
costruzione artificiale dello spazio pittorico, fatta di sole linee
e piani di colore compatto. In questo senso, l’Astrattismo di
Mondrian risulta affatto diverso da quello di Kandinskij e di Klee:
nel suo caso il tentativo è infatti rivolto all’eliminazione
di qualunque tipo di interpretazione soggettiva dell’immagine.
All’estremo, risolvere un problema compositivo si dimostra essere
un procedimento affine alla dimostrazione di un teorema matematico.
L’opera d’arte, per Mondrian, s’identifica con la
realizzazione di un progetto, e non più con l’esito di
una sensazione: l’armonia dell’insieme e l’equilibrio
compositivo sono legati a calcoli precisi, utili a determinare l’ampiezza
di ogni superficie, la sua forma, il suo colore.
Con il movimento Dada, che nasce intorno agli anni Venti del Novecento,
assistiamo invece ad una forma di provocazione sociale e culturale,
piuttosto che allo
sviluppo di una corrente artistica vera e propria. Già la scelta volutamente
casuale della denominazione del movimento è significativa dell’atteggiamento
anticonformista assunto dai dadaisti: opera d’arte come ribellione. Immagini
nate dalla casualità dei materiali che le compongono, dal loro assemblaggio
disparato vengono proposte come forme d’arte proprio in quanto nude rappresentazioni
di oggetti qualsiasi: biglietti ferroviari, tappi di sughero, scolabottiglie,
ruote di bicicletta, tazzine di caffè realizzate in pelliccia, ferri
da stiro chiodati. L’opera d’arte, designificandosi, tende a coincidere
soltanto con la firma dell’artista: delegittimando il contenuto simbolico
dell’opera, il Dadaismo sembra così aprire una nuova radicale
estetica dell’«anti-arte».
4.
Nel 1917, dall’incontro a Ferrara di due grandi pittori,
Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, nasce in arte una nuova
tendenza, la cosiddetta Metafisica, un movimento cui aderirà nel
1918 anche Giorgio Morandi. Contrapponendosi al Futurismo - ancora
interessato alla rappresentazione del movimento e della velocità,
simboli del mondo moderno - la pittura metafisica inscena una
realtà di assoluto immobilismo spaziale, pietrificata,
allegorica, senza tempo. Giorgio de Chirico, il maggiore esponente
della Metafisica, raffigura inquietanti città prive di
vita in cui al posto degli individui si aggirano monumentali
manichini, puri ‘figuranti’ spaziali. Anche nelle
nature morte, gli elementi vengono rappresentati in modo inconsueto:
forme derivate dal mondo organico ed oggetti appaiono desostanzializzate,
prive di peso, mere forme geometriche. Il
Surrealismo, profondamente affine alla Metafisica, si sviluppa invece
negli anni Trenta. È il periodo in cui si diffondono le teorie
psicoanalitiche sull’inconscio che, come noto, determinano
una cospicua riattualizzazione di temi simbolisti nella cultura del
Novecento. |

Klee
|
Il
Surrealismo filtra nell’immagine
il mondo irreale e spesso angoscioso dei sogni. Le pitture e le sculture si
intessono di elementi disposti senza un ordine logico, apparentemente privi
di nessi. Con questo procedimento la pittura surrealista non intende più raffigurare
la mera realtà sensibile eterna, ma quella interiore del soggetto -
la sua zona nera, scabra, rimossa. È così che i quadri surrealisti
danno vita ad una sorta di mondo ‘altro’, ad una fascinosa e conturbante
commistione pittorica di realtà e sogno.

Piet Mondian - 1942
|
Ma
non solo: attraverso il singolare contrasto (tipico in Dalì,
ad esempio) tra la deformazione dell’immagine e la sua
perfetta resa formale, tra la distruzione della logica e l’esecuzione
nitida del gesto pittorico essi contribuiscono anche a creare
una indefinibile atmosfera allucinatoria, fortemente allegorica,
priva di centro, costitutivamente ai confini tra reale e immaginario
tanto da spingere il fruitore ad una totale libertà di
interpretazione: in questo senso il Surrealismo riprende e porta
alle sue estreme conseguenze quella ricerca iniziata dal Simbolismo,
che distillava dall’immagine pittorica non tanto la rappresentazione
della realtà, ma la rivelazione di un polisemico, cifrato
e oscuro sostrato inconscio dell’immaginario umano. |
5.
Dopo il secondo conflitto mondiale, in un’atmosfera di radicale
crisi culturale e di diffusa sfiducia politico-sociale, si determina
quasi per contrasto una febbrile volontà di sperimentazione
formale, una ricerca di nuove forme espressive, di profondo rifiuto
della tradizione culturale europea. Si verifica allora una assoluta
rottura dei percorsi classici dell’espressione artistica e si
apre la via ad una pluralità di ricerche, talora isolate o personali,
le quali a differenza del passato non danno vita a veri e propri movimenti
legati fra loro e preparatori l’uno dell’altro, ma
a linee di ricerca variamente orientate e conviventi nello stesso
momento.
Esaminiamone le principali.
Agli
inizi degli anni Cinquanta del Novecento in Europa (ma anche
in America
ed in Giappone) si afferma una tendenza artistica definita
Informale (i cui principali esponenti sono i francesi Fautrier
e Dubuffet,
il tedesco Hartung, gli italiani Fontana, Vedova, Burri e più recentemente
Barth, caposcuola della «Logica delle forme») che
mette in evidenza un caratteristico atteggiamento di sfiducia
nei valori tradizionali della razionalità e della conoscenza.
Gli elementi tradizionali dell’espressione - linee, colori,
figure - perdono significato. Il rifiuto della ratio spinge al
rifiuto della forma, qualunque essa sia, figurativa o non figurativa:
l’atto creativo tende a coincidere con l’agire stesso.
Le opere informali si differenziano notevolmente le une dalle altre
a seconda della personalità dei singoli artisti e dei procedimenti
esecutivi adottati. All’interno del movimento possiamo infatti
distinguere: una pittura d’azione, in cui il colore è steso
con gesto istintivo, quasi violento; una pittura segnica, fatta
di motivi e segni che si richiamano a caratteri di scritture inventate;
una pittura materica, eseguita con particolari impasti o accostamenti
di materiali eterogenei. |

G. De
Chirico
|
In estrema sintesi: per il rifiuto dell’immagine ottenuta
attraverso regole consolidate e per la ricerca di immediatezza e istintività espressiva,
l’Informale si riallaccia all’Impressionismo tanto che si è potuto
definirlo anche come «Impressionismo astratto»; per il rifiuto
della tradizione culturale, si riallaccia al Dadaismo; per l’esaltazione
dell’inconscio, al Surrealismo; per la violenza dell’immagine,
all’Espressionismo. Seguendo la via tracciata dall’Informale, si
manifesta negli Stati Uniti, intorno agli anni Cinquanta, una tendenza definita
Action Painting (pittura d’azione).

Alberto Savinio
|
E’ una
linea (sviluppata in particolare dalla scuola di New York) che
attribuisce al gesto del dipingere, all’azione in quanto
tale una centralità assoluta, pur all’interno di
una notevole varietà di tecniche artistiche: se Jackson
Pollock, ad esempio, predilige la tecnica del dripping (il famoso ‘sgocciolamento’ del
colore) Willem De Kooning accosterà colori violenti alla
maniera espressionista (e non a caso la sua pittura è stata
definita una sorta di «espressionismo astratto»)
mentre un pittore come Franz Kline utilizzerà ossessivamente
grandi segni neri su fondi bianchi. |
L’Op-art
- il cui nome nasce dalla contrazione dell’espressione «Optical
art» - si manifesta inizialmente verso la fine degli
anni Cinquanta del Novecento. Si tratta di un tipo di pittura
caratterizzata dal desiderio di approfondire e riutilizzare
le ricerche visuali già condotte nell’ambito del
Bauhaus, del Futurismo e del Dadaismo. Agli artisti della Op-art
non interessa la raffigurazione del mondo esterno o la figura
umana, ma gli innumerevoli stimoli prodotti dalla realtà contemporanea
- il dinamismo, le continue trasformazioni, la nuova tecnologia,
il culto dello spettacolo visivo e sonoro. L’invenzione
della forma diventa pertanto un procedimento di tipo coscientemente
scientifico: vengono usate tecniche industriali per ricreare
effetti di movimento ed effetti ottici, congegni meccanici,
luminosi, elettromagnetici volti a stimolare accostamenti di
colori netti a linee e forme geometriche e capaci di destare
nell’osservatore particolari reazioni ottiche e psicologiche,
del tutto soggettive.
|

il
regista Hugo Ball, fondatore del Cabaret Voltaire - 1916
|
All’arte informale segue la Pop-art (abbreviazione di Popular art), un
movimento artistico nato in Inghilterra ma sviluppatosi soprattutto negli Stati
Uniti. È detta «popolare» nel senso che l’interesse
dell’artista si rivolge alla vita quotidiana dell’individuo contemporaneo,
o meglio: a quel mondo artificiale-industriale che ha irreversibilmente mutato
l’ambiente delle città moderne. L’elemento base dell’opera
pop include sempre un’immagine o un oggetto tratti dal comune immaginario
contemporaneo: bottiglie di Coca Cola, personaggi di fumetti, rottami d’auto.

Boccioni
|
Le
composizioni di tali immagini o oggetti non possono essere
considerate né pittura né scultura, secondo il
significato tradizionale dei termini: sono piuttosto composizioni
nuove, riflesse secondo innumerevoli tecniche esecutive: collage,
ingrandimento fotografico, fotomontaggio, stampo in gesso,
fusione di materiale plastico. Ma la pop-art è ‘popolare’ anche
per un altro motivo: ama i colori pieni e vivaci, le superfici
lucenti, lo smalto e la plastica; nel suo impulso inventivo
crea nuovi oggetti densamente colorati, traducendoli in forme
di enormi dimensioni.Ogni autore si esprime affrontando in
modo ossessivo un unico aspetto della realtà: Segal
ripete figure umane a grandezza naturale, realizzate in gesso,
colte nell’atto di compiere i gesti più quotidiani,
ma inserite in una sorta di spazio irreale, totalmente vuoto.
|
Oldemburg
propone oggetti di uso comune ingigantiti e alterati nei materiali
(cibi di gesso);
Rosenquist proietta sovrapposte immagini banali (fette di
melone, sandwich) fino a renderle spaesanti, al limite minacciose;
Lichtenstein
si esprime attraverso
un riuso delle immagini dei fumetti; Warhol infine – forse il rappresentante
più notevole del movimento - riproduce con instancabile ripetitività lo
stesso identico soggetto, dall’immagine di Marylin
Monroe alla Gioconda di Leonardo, sino a farne svanire il
significato
originario.
6.
Alla fine degli anni Settanta, in ambito internazionale, si evidenzia
una nuova linea di tendenza che considera la produzione artistica
come
progetto astratto, teorico, esclusivo prodotto del pensiero, totalmente
sottratto ai dettami della realizzazione concreta, in aperta opposizione
alla produzione artistica tradizionale. Tale tendenza, che afferma
il valore primario della progettazione mentale rispetto all’opera
realizzata, prende il nome di Arte Concettuale. Essa rifiuta la realizzazione
tradizionale sospettando in ogni prodotto artistico la potenziale riduzione
a merce bene di consumo. L’arte viene quindi intesa come idea,
come pura conoscenza. L’impostazione di pensiero del Concettuale
ha influenzato, anche se con esiti non sempre coerenti, larga parte
della ricerca artistica seguente. Sono nate così da un lato
l’Arte povera, intesa come totale rifiuto del «bel materiale»,
della composizione strutturata secondo regole precise, con un chiaro
atteggiamento di ribellione verso la produzione artistica tradizionale:
non si presentano più opere, ma informazioni, progetti, operazioni
sulla realtà, proposte aperte, modi di essere nel mondo, piuttosto
che risultati definitivi; dall’altro la Body-art, in cui l’«opera» viene
ossessivamente costituita dal corpo umano esposto nella sua ‘nudità’,
per così dire, cioè come medium d’arte. L’artista
interviene sul corpo stesso – anche e soprattutto il proprio
- talora con azioni violente, spesso riprese in diretta televisiva,
in una sorta di estremo ‘teatro-performance’.
A
partire dalla fine degli anni Settanta, si diffonde infine
in Europa e negli Stati Uniti una nuova tendenza, la cosiddetta
Transavanguardia, nata e sviluppatasi come reazione al Concettuale
e ascrivibile alla vastissima area culturale del «Postmoderno»,
un termine che designa una complessa dimensione di reazione allo
sperimentalismo delle avanguardie storiche, originariamente impiegato
in architettura e nel disegno industriale ma successivamente
- in forza di un’enorme diffusione - riferito anche alle
più varie sfere culturali di fine secolo, dalla pittura,
alla letteratura, alla filosofia. |

"Venus
of the Ragies"
Michelangelo Pistoletto - 1967
|
Enzo
Cucchi - "Pesce in Schiena del Mare Adriatico"
|
Gli
esponenti della Transavanguardia danno vita ad immagini figurative
pur
senza mirare ad una rappresentazione descrittiva della realtà.
Sono opere caratterizzate da vaste zone di colore monocromo,
da macchie e drippings oltre che da figure capovolte o «galleggianti» nello
spazio del dipinto. |
Nella Transavanguardia vengono riutilizzati i materiali
e gli strumenti tradizionali (pennelli, tele, colori), pur senza rifiutare
le tecniche espressive delle esperienze più recenti: l’esito è una
pittura estetizzante, fortemente rivolta a celebrare la propria assoluta libertà creativa,
ma soprattutto non più segnata da alcun peso ideologico o sovrastruttura
intellettuale.
Bartolomeo Quinto
|